di Simona Cresci

Parafrasando il titolo del trattato di Nietzsche “Umano, troppo umano”, Mauro Bellucci presenta in questa sua prima personale nella galleria romana, trentuno tele di medie e grandi dimensioni in cui l’essere umano viene esibito in tutta la sua “naturale” bruttezza e raffigurato, attraverso numerose pennellate materiche, nella distorsione dei volti e nell’alterazione fisica dei corpi – da qui la definizione poco umano.”;
rececritico=rececritico+”Il rimando al filosofo tedesco è espresso anche attraverso il concetto del “superuomo” che l’artista mette continuamente in atto con l’inserimento, nelle tele, dei suoi autoritratti per l’ironico principio dell’auto-esaltazione e dell’auto-convincimento.

Se esaminiamo la produzione artistica di Mauro Bellucci identifichiamo quanto i suoi lavori rimandino costantemente a profonde tematiche che, anche se diverse tra loro, trattano contenuti che variano dalla citazione mitologica e letteraria in genere, alla psicologia del comportamento e alla sociologia di gruppo. Tale attitudine è data dalla sua coscienza di vivere in un contesto storico-artistico nel quale, di là da dimostrare una sensibilità culturale, ne diviene il consapevole interprete della realtà contemporanea.

Pennellate materiche e nervose, deformazione e bruttura dei volti, inserimento di scritte e oggetti di uso quotidiano sono la testimonianza di come l’artista trasferisca sulla tela, oltre alla sua istintività data da un continuo e gestuale ritorno pittorico sul soggetto, riferimenti storico-artistici del ventesimo secolo: molto vicino al neo-espressionismo, è importante mettere in risalto il suo interesse nei confronti di illustri protagonisti del passato quali Fontana e Burri.

Oltre che nella straordinaria concezione della trasposizione del gesto che oltrepassa lo spazio della tela, Bellucci rimanda a Lucio Fontana per la considerazione che l’opera d’arte è vista come entità materica e fisica che si carica di significati simbolici, di rimandi alla sensibilità, all’emotività e all’erotismo.”;
rececritico=rececritico+”Del linguaggio materico di Alberto Burri evidenzia le possibilità simboliche del mezzo espressivo grazie al quale l’artista romano ottiene grandi opere in cui la superficie diviene spazio sensibile e allusivo, rappresentato dalla fisicità della materia.

Perfettamente in linea con la nuova generazione di artisti attivi nel secondo dopoguerra, la tela diviene luogo ove scaricare le potenzialità del gesto, del segno e del colore e il segno violento e deciso che ne scaturisce evidenzia la spinta emotiva e la liberazione dell’agire dell’artista.

In questa mostra le trentuno opere esposte trattano cicli di lavori distinti per tematiche, ma riuniti stilisticamente dalla stessa componente materica.”;
rececritico=rececritico+”Con la serie dedicata alla mitologia, cinque grandi tele narrano di altrettante leggende in cui la figura femminile diviene l’unica e indiscussa protagonista di una realtà che, tradotta dal sottile gioco della metafora, raffigura l’interesse di Bellucci nei confronti della donna, del suo agire e della sua evoluzione nella società.

Particolari di leggende tradotte visivamente e stabilite dalla libera lettura greca o romana che più ha interessato l’artista, sono qui interpretate come metafora di storie vere che descrivono drammi d’amore o gravi tradimenti umani; ed è proprio con il sottile gioco della metafora che l’artista esprime tale disagio universale attraverso la deformazione e la bruttura dei volti delle interpreti che, lontano dai classici canoni di bellezza con i quali si simboleggia la figurazione mitologica, trasporta allegoricamente sulla tela la “mostruosità” interiore dell’essere umano.

Ecco allora Io, amante di Zeus, che viene da lui trasformata in giovenca per sottrarla alla gelosia di sua moglie Era. La figura della dea ritratta sia di profilo che nella trasformazione subita e con accanto il ritratto dell’artista con seria e ironica espressione, occupa l’intera composizione.

La stampa al computer raffigurante le proporzioni del corpo umano secondo Policleto – la cui arte fu sommamente apprezzata dagli antichi per la possente bellezza e l’equilibrato dinamismo di cui dotò la figura umana nelle sue opere – si contrappone alla “bruttezza” di Coronide che, amante di Apollo, è conosciuta come colei che partorisce il figlio Asclepio dal seno.

La drammaticità dell’evento è rappresentata dal volto della dea composto da Compact Disk. L’inserimento di questi oggetti di uso contemporaneo oltre che a far concentrare la luce sul volto, utile a sottolinearne una maggiore fatalità, ne permette una significativa interpretazione: la scarsa comunicazione fra gli uomini che vivono nella società globalizzata è qui soccorsa metaforicamente dall’intrinseca funzione dell’oggetto integrato nel volto della donna.

Ancora una volta Mauro Bellucci diviene il mediatore eroico di un mondo sopraffatto dall’incomunicabilità.

Afrodite dea dell’amore nacque dalle acque perché generata, secondo l’interpretazione greca, dalla caduta in mare degli organi sessuali di Urano dopo essere stati tagliati da Crono. La figura femminile è mostrata in tutta la sua interezza e affiancata da particolari di organi genitali maschili.

È ancora il dramma di Ifigenia nello specifico momento dell’andata all’altare del suo sacrificio – poi scampato – da parte del padre Agamennone, ad essere narrato e giudicato, ancora una volta, dallo sguardo severo dell’artista che, inserendo la sua foto sulla flotta raffigurata in alto della tela, diviene portatore di pace, nonché metafora auto-referenziale d’intelligenza e cultura trasmessa tra i popoli.

Con la quinta tela dal titolo Il filo d’Arianna, Bellucci assume le sembianze del Minotauro, quest’ultimo autore indiscusso della prigionia dell’innamorato Teseo al quale la dea dette un gomitolo di filo che egli srotolò per permettergli di trovare la strada del ritorno ed uscire dal Labirinto nel quale era imprigionato.

Concetti profondi di vita e sentita drammaticità sono espressi nelle tele La donna oggetto e La donna a metà dove ciò che viene messa in risalto è l’antica concezione di subalternità sessuale femminile; è importante evidenziare come tale atteggiamento prescinda da un facile maschilismo, ma tenga conto di una consapevole e dibattuta posizione istintiva dell’uomo nei confronti della sessualità. È sempre con grande ironia, attraverso la quale è velata la denuncia della brutalità primitiva maschile, che Mauro Bellucci si inserisce nelle due tele come attento osservatore il cui sguardo si concentra sulle parti intime del corpo femminile.

Ne “La donna oggetto” il corpo è ritratto senza la testa, per la volontà di sottrarre l’elemento pensante e dare maggior risalto alle componenti sessuali qui circoscritte da quadrati blu. L’inserimento di oggetti di consumo quali i moderni buoni per parcheggio, rimandano sensibilmente al titolo dell’opera.

Ne “La donna a metà” la pubertà è abusata dall’uomo che, inserito in alto a destra della tela e cancellato simbolicamente da un duro segno soddisfa, in “senso univoco”, i suoi istinti sessuali.

E sono ancora le tre tele Erotic IV, Erotic V e Erotic VI a presentare parti del corpo femminile realizzate attraverso la gestualità del segno e la materialità e la vivacità del colore.

L’utilizzo di determinati colori quali il rosso, il verde acceso, il giallo e il blu cobalto chiaro rappresentano un importante aspetto concettuale concentrato, in tutte le sue opere, sul sottile legame psicologico che avvicina un colore ad un particolare stato emotivo: come il rosso vivo e il verde acceso si legano a soggetti con i quali Mauro Bellucci manifesta la sua istintività attraverso temi di violenza, di passione sessuale e di perversione, il giallo rafforza la sua esplosione interna mentre il blu cobalto chiaro equilibra la tavolozza pur non nascondendo la sua vivacità.

I cinque Studi per un volto si riferiscono ai modelli delle eterogenee popolazioni mondiali che, personificate da ragazzi, si distinguono per cultura e stile di vita. Grandi volti materici realizzati attraverso corpose pennellate e ampie zone di luce e ombra presentano inserimenti di custodie di Compact Disk che, coprendo occhi o bocca, donano all’immagine maggiore ambiguità traducendo la duplice personalità, più o meno sana, dell’essere umano.

L’ultima serie presente in mostra è costituita da dieci tele in cui l’artista, assumendo sembianze diverse, si ritrae ogni volta con dieci personaggi da lui più stimati della storia dell’arte passata e contemporanea: Io e Baselitz, Io e Basquiat, Io e Clemente, Io e Cucchi, Io e Paladino, Io e Penck, Io e Kirchner, Io e Kokoscka, Io e Schiele, Io e van Gogh. L’auto-esaltazione di Mauro Bellucci è qui evidenziata dalla costante presenza del suo ritratto contrapposto a quello dell’artista corrispondente inserito, come nel caso dell’opera “Io e Cucchi”, con foto elaborata al computer in posizione capovolta. Con tale capovolgimento l’artista esprime, simbolicamente, un auto-ironico confronto con i “grandi” nascondendo tutte le insicurezze tipiche di chi, come lui, è alle sue prime esperienze pubbliche. Significativa a tal proposito la tela “Io e van Gogh” in cui Bellucci accosta il suo ritratto, oltre a quello di van Gogh qui effigiato come un’icona religiosa, alla scatola (simbolo e metafora della vita dell’artista olandese divenuto famoso solo dopo anni dalla morte) sulla quale è impresso, sopra la scritta 20 cartelle archivio, “non sarò un altro van Gogh”: paura di non riuscire ad emergere? Paura di non essere riconosciuto?

La preziosa Empatia che unisce la mamma con il proprio figlio, la fobia tecnologica del trascorso Millenium Bug, l’importanza storica, economica e sociale dell’entrata dell’Italia in Europa, lo studio dei malati di mente curati attraverso un metodo sperimentale che prevede la sostituzione terapeutica dell’elettro shock con l’acqua calda in Taking a bath, rappresentano gli altri significativi aspetti della produzione di Mauro Bellucci che con sguardo attento e cosciente ci presenta, attraverso il sensibile linguaggio dell’arte, la realtà contemporanea.

“Il mio modo di riportare le cose della storia consiste propriamente nel raccontare ‘esperienze’ personali, prendendo a spunto epoche e uomini del passato…”
(Nietzsche in “Umano, troppo umano”, 1878)