di Caterina Pasquali

L’assenza di un corpo, l’assenza di azione reale, solo teste inerti. Il loro sguardo sembra proiettato verso il futuro, ma l’espressione è quella della malinconia, dell’attaccamento al passato.

E l’immediato presente?
I soggetti di Mauro Bellucci sembrano evitarlo, ma lo bramano e diventano spettatori immobili assumendo così un atteggiamento quasi voyeuristico.
Viaggiando in treno, in aereo, in metropolitana spesso la nostra attenzione viene catturata da un volto, da un’espressione, da un’immagine e così iniziamo a fantasticare su come potrebbe essere la loro vita, pensiamo a cosa vorremmo dire loro come se non ci fosse nessuna distanza, come se ci fosse un legame ombelicale. In quel momento quelle persone iniziano a esistere nella nostra vita, solo perché le abbiamo guardate per un istante. Ci appartengono e ci fanno conoscere noi stessi attraverso i nostri pensieri. Potrebbero farci conoscere una rabbia che non abbiamo mai provato prima, oppure una tenerezza tale che non avremmo mai pensato di essere capaci di sentire.
Poi arriva la nostra fermata o la loro e intanto ci siamo già affezionati e a volte avvertiamo un piccolissimo dolore a causa del distacco… ma il gioco non è finito perché incontreremo altri volti, altri occhi che ci trascineranno nel circolo del “girotondo” e ci spingeranno a fantasticare. Tutto questo può accadere con un solo sguardo e ogni volta siamo disposti a cambiare noi stessi così come siamo disposti a farlo tutte le volte che cambiamo canale mentre guardiamo la televisione.
Proviamo ad immaginare se per un istante uno dei personaggi televisivi, con il quale probabilmente ci identifichiamo, si fermasse a guardare, a osservare la nostra vita per trarne ispirazione…

Sarebbe affascinante…

Ma cosa vedrebbe?